Colline dorate, mani che impastano, profumo di pomodoro e aglione. I pici della Val d’Orcia raccontano una terra sincera, dove la semplicità diventa arte da gustare

Alcuni luoghi sono magici e riescono a metterti in pace col mondo anche già soltanto ad attraversarli in auto e ad osservare i loro paesaggi sconfinati.
La Val d’Orcia, con le sue colline morbide e i cipressi allineati come guardiani del silenzio, è uno di quei posti che parlano anche senza dire una parola. Basta l’odore del pane appena sfornato, del formaggio stagionato o di un sugo che sobbolle piano sul fuoco per capire che qui il cibo non è solo tradizione: è un modo di raccontarsi.
Ogni borgo custodisce una sua ricetta, spesso nata da mani contadine e tramandata con la naturalezza con cui si passa un segreto di famiglia. C’è la ribollita, densa e confortante, fatta di pane raffermo e verdure di stagione. Ci sono le pappardelle al cinghiale, un piatto robusto, da vino rosso e chiacchiere lunghe. E poi il pecorino di Pienza, così famoso da sembrare quasi un simbolo: dolce o stagionato, è il compagno perfetto di un bicchiere di Nobile di Montepulciano.
Ma se c’è un piatto che più di tutti racconta l’anima della Val d’Orcia, quello sono i pici all’aglione.
Pici all’aglione: la semplicità che diventa sapore
I pici sono una pasta fresca lunga, spessa e irregolare, tirata a mano con un gesto antico. Non servono strumenti: solo farina, acqua e un po’ di forza nelle dita. Le donne li “appiciano” ancora oggi come si faceva un tempo, arrotolando i cordoncini sul tavolo infarinato. Il risultato è una pasta ruvida, perfetta per trattenere il sugo.
Il condimento tradizionale è l’aglione della Val di Chiana, una varietà di aglio dalle dimensioni imponenti e dal profumo sorprendentemente delicato.

A differenza dell’aglio comune, non lascia retrogusto pesante e si digerisce con facilità. Il sugo che ne nasce è un piccolo capolavoro: pomodori maturi, olio extravergine d’oliva, peperoncino e, naturalmente, aglione. Niente altro. Perché in Toscana, come amano dire, “meno metti, più senti”.
Un po’ di storia e qualche curiosità
Le prime tracce dei pici risalgono addirittura agli etruschi. In un affresco nella Tomba dei Leopardi, a Tarquinia, si vede una pasta lunga e grossolana servita durante un banchetto. È la prova che questo formato ha radici antichissime, ben prima dell’arrivo delle paste industriali.
L’abbinamento con l’aglione invece si è consolidato nei secoli successivi, quando le famiglie contadine della Val di Chiana e della Val d’Orcia ne coltivavano in abbondanza per le proprietà curative e il gusto dolce. Con il tempo, la ricetta dei pici all’aglione è diventata un emblema locale, tanto da essere oggi protagonista di sagre e feste popolari come quella di Celle sul Rigo, vicino San Casciano dei Bagni.
C’è anche un aspetto interessante: per decenni, a causa della scarsa disponibilità dell’aglione originale, molti hanno preparato il piatto con l’aglio comune. Solo di recente, grazie al lavoro di piccoli produttori, l’aglione vero è tornato sulle tavole, riconosciuto come prodotto agroalimentare tradizionale (PAT) e riscoperto come simbolo identitario del territorio.
La ricetta dei veri pici all’aglione
Ingredienti per 4 persone
Per i pici:
– 400 g di farina 0
– 200 ml di acqua tiepida
– un pizzico di sale
Per il sugo:
– 3 spicchi di aglione della Val di Chiana
– 400 g di pomodori pelati o passata
– olio extravergine d’oliva
– sale, peperoncino e un pizzico di zucchero
Preparazione
Disponi la farina a fontana e aggiungi gradualmente l’acqua, impastando fino a ottenere una consistenza elastica. Lascia riposare mezz’ora coperto da un panno, poi stacca piccoli pezzi e “appiciali”: arrotolali sul piano fino a formare lunghi cordoncini di circa 3-4 mm di spessore.
Per il sugo, schiaccia gli spicchi di aglione e falli appassire dolcemente in olio extravergine d’oliva senza bruciarli. Aggiungi la passata di pomodoro, un pizzico di peperoncino e un filo d’acqua. Lascia cuocere piano per 20 minuti, finché il sugo non diventa denso e profumato.
Cuoci i pici in abbondante acqua salata, scolali al dente e falli saltare nel sugo, aggiungendo un filo d’olio crudo prima di servire.
Il segreto è uno solo: semplicità assoluta. È il piatto che più di ogni altro racchiude la verità della Val d’Orcia — quella di una terra che non ha bisogno di apparire per essere amata.





